Giovedì è il giorno dedicato alle attività di teatro-danza.
Per questa giornata avevamo organizzato un mimo delle
emozioni; una scatola piena di bigliettini rappresentanti diversi stati d’animo
ci aspettava sopra lo scaffale.
Nella nostra testa l’idea era perfetta, non faceva una
piega, dovevamo solo metterla alla prova dei bambini.
E’ una splendida giornata e decidiamo di proporre l’attività
nel campo.
In fondo è un campo senza nulla, né un gioco, niente scivoli
né altalene.
Un campo di erba tagliata e basta, cosa avrebbe potuto
distrarre i bambini ?
In realtà, Immaginavamo già che i più piccoli si sarebbero
distratti facilmente, catturati da qualche formicaio o cavalletta di passaggio,
ma volevamo provare ugualmente.
Scendiamo nel campo.
Alcuni correndo altri ruzzolando, memori dell’esperienza del
giorno precedente, la festa nazionale della ruzzola da noi indetta.
Comunque, rotolando, ruzzolando, scapriolando, correndo,
strisciando, gattonando, tutti alla fine arrivano.
Facciamo un bel girotondo per metterci in cerchio, dopo la
formula “tutti giù per terra”, siamo
magicamente tutti seduti in un cerchio perfetto.
Iniziamo il gioco, ci sono tutti, anche i più piccoli.
Siamo felicissime.
Facciamo girare la scatola con i bigliettini tra i bambini e
intanto spieghiamo che gioco faremo.
Dopo che ciascun bambino ha mimato il suo biglietto, gli altri provano
a rifarlo tutti assieme.
Non avevano mai fatto questo gioco, quando è il loro turno
molti si emozionano e si imbarazzano, comunque improvvisano qualcosa, tutti
ridono molto, ma nessuno si offende, i bambini sono molto uniti tra loro.
Nel frattempo però, un bambino si allontana, poi due, poi
tre, alla fine solo 4 bambini rimangono a giocare con noi.
Immersi nel dubbio cerchiamo di capire cosa sta mimando V.,
sembra scavare, mettere qualcosa sottoterra, poi coprirlo.
Sembra faccia un orto, ma che stato d’animo bizzarro ??
“Stai facendo l’orto?” “Sei felice di fare l’orto?”
Scopriamo dopo 10 minuti di domande, dubbi, risate, che
stava sotterrando cadaveri… nel suo bigliettino c’era scritto morto.
Disquisiamo su come si debba mimare un morto e sulla
profonda somiglianza tra fare un orto e sotterrare qualcuno o qualcosa. Ma a
questo punto siamo in 3.
E gli altri? Dove sono tutti??
Eccoli:
Tutti intenti a scavare, far scorrere la
terra tra le loro piccole dita, grattare, sminuzzare, fare montagne e osservare
la più piccola delle formiche farsi largo tra vallate in miniatura.
Tutti giù per terra, ma questa volta davvero.
Con i visi a 10 cm per vederla meglio, con i nasi vicini per
annusarla. Accanto a qualcuno o da soli, ma tutti per terra.
Altri nel frattempo si nascondono. Quando avevamo tagliato l’erba
del campo avevamo deciso di lasciare una parte incolta, per permettere loro di
utilizzarla come labirinto o nascondiglio.
Quello che non avevamo calcolato era la quantità delle
piante di lappe, avete presente cosa sono?
Quei pallini ricoperti di piccoli spini che si attaccano ai
vestiti, alle scarpe, ecc..
Bhè ecco cos’è successo. I bambini si sono addentrati nella foresta di lappe, ignorando totalmente ciò che sarebbe accaduto da lì a poco.
Quando sono riemersi erano completamente ricoperti di lappe dalla testa ai piedi.
Quando sono riemersi erano completamente ricoperti di lappe dalla testa ai piedi.
Mancava mezzora al pranzo, già le nostre menti viaggiavano
verso pensieri di genitori sconvolti, arrabbiati, infuriati, di zucche pelate e abiti bruciati.
I bambini ridevano, alla faccia loro....
Ma se Serendipità si chiama che serendipità sia!I bambini ridevano, alla faccia loro....
Seduti in piccoli gruppi abbiamo iniziato a “delappizzarci”. I piccoli ancora
nella terra, splendida educatrice e aiutante .
Riusciamo nell’impresa,
tutti puliti, nessuna lappa visibile e tutti a ridere ed ironizzare su quello
che era successo.
Grazie a questo “incidente”
abbiamo imparato tutti che niente è impossibile, che l’unione fa la forza, che
sorridendo e scherzando i problemi sembrano più piccoli e ridicoli di quello
che ci sembravano all’inizio. Ma soprattutto abbiamo imparato a riconoscere le
piante delle lappe e a strane alla larga.
Tornando ai piccoli,
erano completamente sdraiati sul campo, si erano tolti stivali e calzetti e
sembravano aver raggiunto la pace dei sensi.
Ci saremmo uniti a loro
volentieri ma il pranzo era pronto e siamo stati costretti alla ritirata.
Venerdì, giorno dedicato
alla cucina.
Dopo aver impastato
assieme la pizza che avremmo poi mangiato a pranzo, ci fiondiamo nel campo.
Sapevamo tutti cosa fare.
Creiamo un punto di
raccolta per gli stivali, le scarpe e i calzetti, e via, tutti a piedi nudi come
i piccoli ci avevno mostrato il giorno precedente.
“E’ morbido”, “è freddo”, “sembra una coperta bagnata”, “sentite
qua è duro e qua è morbiduccio”, “ se camminiamo con i talloni facciamo dei
buchi nel terreno”.
“Guardate le lavagne di
terra “
Guardandovi piccole
creature meravigliose, mi sono commossa e mi è tornata in mente questa poesia.
A voi la dedico, a voi e
a tutti gli altri bambini del mondo.
Ma in particolare la
dedico a mio figlio, che tutti i giorni mi ricorda cosa si prova ad esser
bambino, mi insegna a tener stretto quel ricordo. Madelein quotidiana di ciò
che ero e che sono ancora.
“ Adesso, cari cuccioli, io sono grande. Sono molto grande. Sono quella che mai e poi mai avrei voluto essere: una persona grande. Adesso io sono dei loro. Adesso lontanissima sono dai miei favolosi sette anni, quando ero un genio buono, uscito da poco dalla lampada, e un filosofo ero, ma senza le parole, un grandioso poeta analfabeta, un’artista senza arte. Adesso sono qui, da questo esilio duro, da questo corpo con peso, da questa mente complicata, da questa mente ingombrante, da qui, da questo buio che è tutto il mio vi guardo, adorandovi. […] Dicono che siete rotti. Siete sazi, dicono. Corrotti. Rovinati siete, come tutto il resto. Anche voi nella lista lunga delle perdite: l’acqua, l’aria, il silenzio, il pudore… Anche voi. Stuprati siete, rotti. Vecchissimi e troppo stanchi per l’infanzia. Scarichi, vuoti. Allora adeso imparate. Imparate l’odore dei nemici potenti. Sbranate, cuccioli, le loro mani piene. Scassate le loro tane come galere. Sputate sui loro piatti, incendiate le stanze gonfie di giocattoli, scappate, morsicate, tirate pietre sui televisori, scalciate, spaccate questo micidiale nostro sogno, l’inesauribile bisogno di agio, fateci a pezzi, scancellate noi, puniteci per aver fatto di voi le nostre miniature per avervi disinnescato, resi innocui, per non avervi ascoltati, nel vostro sommo sapere. Voi che eravate le porte del regno dei cieli e chi non passava da voi non passava, voi che eravate purissima gioia, voi che eravate noi bloccati nella più grande bellezza, voi che somigliavate ai cuccioli degli altri animali, voi che capivate lo splendore misterioso degli animali, voi che dormivate un sonno perfetto e benedetto, voi che vi svegliavate ridendo, voi che facevate balletti strepitosi. Voi nostre divinità domestiche. Nascete ancora cuccioli. Restate. Siate. Salvate. Giurate. Siate. Siate. Siate”
Mariangela Gualtieri “ Sermone ai cuccioli della mia
specie”
A tutti voi, piccoli
abitanti di Serendipità, con la speranza che nessuno vi disinneschi, che nessuno
schiacci i vostri diritti.
Che nessuno vi impedisca di
correre, rotolarvi, sporcarvi, ridere, sbagliare, cantare a squarciagola,
piangere, camminare a piedi nudi.
Vi auguriamo di essere
sempre ciò che siete, di non permettere a nessuno di rubarvi questi ricordi una
volta diventati adulti.
Con amore, le vostre
maestre.
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